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Gut microbial metabolites limit the frequency of autoimmune T cells and protect against type 1 diabetes

Mariño E, Richards JL, McLeod KH, Stanley D, Yap YA, Knight J, McKenzie C, Kranich J, Oliveira AC, Rossello FJ, Krishnamurthy B, Nefzger CM, Macia L, Thorburn A, Baxter AG, Morahan G, Wong LH, Polo JM, Moore RJ, Lockett TJ, Clarke JM, Topping DL, Harrison LC, Mackay CR.
Nat Immunol. 2017;18:552-562.

 


RIASSUNTO

Gut dysbiosis might underlie the pathogenesis of type 1 diabetes. In mice of the non-obese diabetic (NOD) strain, we found that key features of disease correlated inversely with blood and fecal concentrations of the microbial metabolites acetate and butyrate. We therefore fed NOD mice specialized diets designed to release large amounts of acetate or butyrate after bacterial fermentation in the colon. Each diet provided a high degree of protection from diabetes, even when administered after breakdown of immunotolerance. Feeding mice a combined acetate- and butyrate-yielding diet provided complete protection, which suggested that acetate and butyrate might operate through distinct mechanisms. Acetate markedly decreased the frequency of autoreactive T cells in lymphoid tissues, through effects on B cells and their ability to expand populations of autoreactive T cells. A diet containing butyrate boosted the number and function of regulatory T cells, whereas acetate- and butyrate-yielding diets enhanced gut integrity and decreased serum concentration of diabetogenic cytokines such as IL-21. Medicinal foods or metabolites might represent an effective and natural approach for countering the numerous immunological defects that contribute to T cell-dependent autoimmune diseases

COMMENTO

La prevalenza del diabete mellito sia di tipo 1 (DM1) sta progressivamente aumentando in età pediatrica e nella popolazione giovane adulta, ponendo importanti interrogativi di salute pubblica. Il DM1 è causato dalla distruzione della beta-cellula nel pancreas su base autoimmune in seguito ad una alterata risposta delle cellule T. Numerosi studi hanno tentato di comprendere se alcuni fattori ambientali, in particolare dietetici, come il consumo di latte vaccino, il tempo del divezzamento, il consumo di alcune categorie di acidi grassi avessero un ruolo nell’aumentare o ridurre il rischio di sviluppo di patologia in particolare nei soggetti ad alto rischio, al fine di impostare interventi preventivi. Recenti studi hanno osservato come il microbiota intestinale sia differente nei soggetti affetti da DM1 e come tali differenze potrebbero avere un ruolo patogenetico, suggerendo che strategie volte a modificarne la composizione e/o la funzione possano avere sviluppi terapeutici.
Il risultato fortemente innovativo di questo studio molto complesso ed articolato è l’aver dimostrato come una dieta ricca in due acidi grassi a corta catena (SCFA), l’acetato ed il butirrato, due dei principali prodotti del metabolismo microbico, siano in grado di inibire l’esordio di malattia, in particolare se in co-somministrazione, in topi NOD (non-obese diabetic). L’idea di studio nasce dall’osservazione degli Autori che topi NOD resi deficitari di MYD88, una molecola coinvolta nel meccanismo di segnale dell’immunità innata, erano protetti dallo sviluppo del DM1 se allevati in condizioni normali, ma non in condizioni “germ-free”. La protezione era associata alla presenza di più elevati livelli di acetato e butirrato nel sangue nonché del phylum Bacteroides nelle feci, in particolare nei maschi, che di per sé sono già associati ad una minore incidenza di DM1 nei topi NOD.
Il passo successivo è stato, pertanto, somministrare delle diete arricchite attraverso un amido di mais ricco in amilosio acetilato (15%) o butirrilato (15%). La fermentazione batterica intestinale determinava poi un aumento del rilascio di acetato e butirrato, riscontrabili sia a livello fecale sia circolante, associati ad una riduzione dell’insulite. Il secondo risultato importante è l’aver dimostrato che i meccanismi attraverso cui agiscono l’acetato ed il butirrato sono differenti ed in parte sinergici, tanto da proteggere completamente i topi NOD dall’insorgenza del DM1 quando in cosomministrazione. Semplificando, la dieta ricca in acetato sembra inibire l’espansione delle cellule autoimmuni T effettrici. Inoltre, questi topi presentavano anche un numero ridotto di cellule B competenti nella funzione di cellule presentanti l’antigene e, pertanto, in grado di espandere le popolazioni T autoreattive. Inoltre, la dieta ricca in acetato espandeva il genus Bacteroides nell’intestino d questi topi NOD, le cui feci, una volta trapiantate in altri topi NOD, ma tenuti in condizioni “germ free”, li proteggevano dallo sviluppo del DM1. Diversamente i topi NOD alimentati con la dieta ricca in butirrato presentavano un’espansione delle cellule T regolatrici; avevano, inoltre, una maggiore integrità mucosale di barriera, aumentando l’espressione dell’occludina, molecola chiave delle “tight junction” nel colon.
Numerosi sono gli studi di coorte volti all’individuazione precoce del DM1, come pure quelli di intervento volti a modificare fattori ambientali e/o dietetici considerati attori nell’insorgenza del DM1, come il latte vaccino e la vitamina D. Questo studio conferma altri dati presenti in letteratura sui fattori ambientali coinvolti nel DM1, che suggeriscono come un’alterazione del nostro microbiota (la tipologia di parto, l’utilizzo di antibiotici nei primi anni di vita, la dieta etc) possano giocare un ruolo chiave nello sviluppo delle patologie autoimmuni, compreso il DM1. La proposta di intervento suggerita da questo studio è innovativa rispetto ad alcuni studi già presenti nell’animale o nell’uomo sull’utilizzo di probiotici, trapianto fecale o trapianto di consorzi batterici controllati. Tale approccio potrebbe essere, inoltre, più semplice da utilizzare su larga scala in termini di prevenzione primaria, considerando l’utilizzo di “alimenti funzionali”. Una dieta modificata non deve stupire se si ricorda che la dieta è già il cardine della terapia del DM1 e che prodotti dietetici modificati sono già la terapia di altre patologie come la celiachia o l’intolleranza al lattosio.
Questo studio apre scenari di ricerca molto interessanti, anche se la finestra temporale di efficacia e la sicurezza di modulazione del sistema immunitario nell’uomo rimangono punti chiave, in particolare per una patologia a prevalente esordio pediatrico.  

Flavia Prodam
Dipartimento di Scienze della Salute
Università del Piemonte Orientale
Via Solaroli 17
28100 Novara
[email protected]

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