Introduzione
Il Morbo di Paget (MdP) dell’osso rappresenta, tra i disordini del metabolismo osseo, la più comune condizione dopo l’osteoporosi nella popolazione anziana, con un’incidenza dell’1% nei soggetti con oltre 55 anni di età. Ricercarlo e trattarlo consente di migliorarne la sintomatologia e possibilmente ridurne le complicanze [1,2]. Ad oggi, i bisfosfonati costituiscono il cardine della terapia medica del MdP [Figura 1] [1,2]. Una metanalisi di studi clinici controllati, che ha coinvolto 418 pazienti con MdP, ne ha dimostrato l’efficacia nel ridurre il dolore osseo rispetto al placebo [3].
Zoledronato
In particolare, zoledronato, impiegato come dose singola di 5 mg per via endovenosa è risultato superiore a risedronato, nel controllo del dolore e nel migliorare la qualità di vita dei pazienti [4]. È stato comunque evidenziato che il trattamento possa essere praticato anche in soggetti asintomatici ma con localizzazioni di malattia a più alto rischio di complicanze (es. vertebre, ossa lunghe, superfici articolari o cranio) e nei pazienti candidati a trattamento chirurgico elettivo di artroprotesi, nei quali la terapia con bisfosfonati del MdP in fase attiva riduce il rischio di sanguinamento intraoperatorio [Figura 1] [1,2].
Alendronato e risedronato
Sebbene alendronato (40 mg/die per 6 mesi) e risedronato (30 mg/die, per 2 mesi) siano, tra gli aminobisfosfonati per uso orale, quelli con indicazione al trattamento del MdP, l’utilizzo di dosi più elevate rispetto a quelle più comunemente utilizzate per il trattamento dell’osteoporosi e la somministrazione giornaliera espongono i pazienti con MdP ad un più alto rischio di eventi avversi gastroesofagei [1]. La percentuale di risposta alla terapia con bisfosfonati orali, valutata in base alla normalizzazione della fosfatasi alcalina, è del 60-70% con una ripresa di malattia sensibilmente più alta rispetto a quanto osservato con zoledronato [1,2].
Neridronato
Neridronato, un aminobisfosfonato con indicazione al trattamento del MdP, ha dimostrato di essere ugualmente efficace sia quando somministrato per via endovenosa (100 mg/die, per 2 giorni consecutivi) che per via intramuscolare (25 mg una volta alla settimana, per 8 settimane), con normalizzazione della fosfatasi alcalina nel 89% dei casi e con ripresa di malattia in circa il 50% dei pazienti al follow-up dopo 36 mesi [5]. La scelta della via intramuscolare, rispetto alla somministrazione endovenosa, potrebbe rappresentare nella pratica clinica un modo per consentire il trattamento domiciliare del paziente con MdP, che alternativamente dovrebbe ricevere la specifica terapia in sede ospedaliera
Altri bifosfonati
Altri bisfosfonati come pamidronato, etidronato o clodronato, o la calcitonina somministrata per via parenterale, hanno dimostrato un controllo di malattia meno efficace e pertanto il loro impiego risulta oggi limitato [1,2].
Conclusioni e prospettive (denosumab)
L’impiego dei bisfosfonati dovrà, dunque, essere considerato dopo preliminare correzione dello status vitaminico D anche per ridurre la comune risposta di fase acuta, caratterizzata da sintomi simil-influenzali dopo le prime dosi di aminobisfosfonati soprattutto per via parenterale [6,7]. Più recentemente è stata evidenziata la potenziale utilità di denosumab - un anticorpo monoclonale diretto contro il RANK-L, il principale protagonista dell’osteoclastogenesi - impiegato in circostanze in cui i bisfosfonati sarebbero controindicati [8,9]. La risposta al trattamento può essere monitorata attraverso la riduzione della concentrazione sierica della fosfatasi alcalina, che andrebbe misurata almeno ogni 6 mesi anche durante il follow-up per cogliere precocemente un’eventuale ripresa di malattia e quindi la necessità di un nuovo ciclo terapeutico. L’impiego di analgesici, antinfiammatori non steroidei ed antinevritici resta un valido supporto nel controllo dei sintomi quando presenti, mentre la chirurgia ortopedica può rendersi necessaria per la decompressione di strutture nervose o la sostituire di articolazioni con deteriorata funzionalità [10].
Figura 1 – L’approccio al trattamento del MdP