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Sospensione di denosumab: gestione nella pratica clinica

Elisa Cairoli1,2, Carmen Aresta1>
1IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Centro Clinico e di Ricerca di Malattie Metaboliche dell’Osso e Diabetologia, Milano, Italia; 2Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Fisiopatologia Medico- Chirurgica e dei Trapianti, Milano, Italia
Autore corrispondente: E. Cairoli
IRCCS Istituto Auxologico Italiano
Centro Clinico e di Ricerca di Malattie Metaboliche dell’Osso e Diabetologia
Via Ariosto, 9 - 20145 Milano
[email protected]

 
Introduzione
Denosumab (Dmab), anticorpo monoclonale anti-ligando dell'attivatore recettoriale di NFκB (RANK-L), è un potente farmaco antiriassorbitivo in grado di sopprimere gli indici di turnover scheletrico (BTM), aumentare la densità minerale ossea (BMD) e ridurre il rischio di frattura (Fx) con un buon profilo di sicurezza fino a 10 anni di trattamento [1].

È ormai noto che l’interruzione di Dmab determina una rapida inversione dei suoi effetti su BTM, BMD e rischio di Fx [2], per cui negli ultimi anni è andata definendosi la necessità di impostare un trattamento alternativo alla sospensione [3].

Effetto sugli indici di turnover scheletrico
L’interruzione di Dmab determina un rapido e intenso incremento dei BTM. Sebbene con variabilità interindividuale, i valori medi dei BTM superano i livelli basali pretrattamento 9 mesi dopo l’ultima iniezione e rimangono elevati fino ad un decremento ai livelli basali circa 30 mesi dopo l’ultima somministrazione (“fenomeno rebound”) [2].

La fisiopatologia di questo effetto sui BTM non è ancora completamente chiarita, ma è possibile che si basi sull’accumulo di preosteoclasti immaturi durante il trattamento e sul successivo incremento dell’osteoclastogenesi e del rilascio di RANKL dopo il venir meno dell’inibizione farmacologica di RANKL [3].

Un precedente trattamento con bisfosfonati (BP) sembrerebbe mitigare il “fenomeno rebound” [2].

Effetto sulla densità minerale ossea
L’interruzione di Dmab determina un declino della BMD di circa 5-11% in tutti i siti scheletrici durante il primo anno di sospensione. La massa ossea acquisita durante il trattamento viene persa con un ritorno ai valori pretrattamento entro 1-2 anni dalla sospensione. La velocità e l’entità della perdita di BMD risultano proporzionali alla durata del trattamento con Dmab [2].

Non vi sono ad oggi dati sufficienti per stabilire se un pretrattamento con BP sia in grado di prevenire tale perdita di BMD.

Effetto sul rischio di frattura
L’interruzione di Dmab è associata ad un rischio aumentato da 3 a 5 volte di Fx da fragilità, soprattutto vertebrali. Le Fx vertebrali associate al “fenomeno rebound” sono generalmente cliniche, multiple e si verificano da 6 a 18 mesi dopo l’ultima somministrazione del farmaco (mediana 10 mesi) [3].

Fattori che aumentano il rischio di Fx vertebrali multiple dopo la sospensione di Dmab sono la presenza di Fx vertebrali prevalenti, un maggiore aumento della BMD in corso di trattamento o una maggiore perdita alla sospensione, una maggiore durata del trattamento e, in minor misura, una età minore del paziente [2].

Sebbene un precedente trattamento con BP riduca il “fenomeno rebound”, non vi sono ancora dati certi che possa prevenire la comparsa di Fx alla sospensione di Dmab.

Gestione clinica della sospensione di Dmab
La pratica clinica attuale prevede, alla sospensione di Dmab, la somministrazione di BP, indipendentemente dai valori di BMD raggiunti.

Tra i BP orali, l’alendronato è quello che, seppur in pochi studi, ha dimostrato efficacia nel prevenire la perdita di BMD alla sospensione di Dmab.

Più numerosi sono gli studi sull’utilizzo dello zoledronato per via endovenosa, in cui è emersa una maggior efficacia dei BP in caso di precedente trattamento con Dmab di breve durata (< 2.5 anni) [2]. Anche il momento in cui iniziare i BP dopo Dmab è stato oggetto di indagini. Pur essendo ipotizzabile, da un punto di vista fisiopatologico, una minor capacità del BP di legarsi alla superficie ossea e quindi una minor efficacia in presenza di turnover osseo soppresso, la somministrazione ritardata della terapia non sembra aumentarne l’efficacia mentre aumenta significativamente il rischio di Fx.

Sulla base delle attuali evidenze, il recente Position Statement dell’ECTS (European Calcified Tissue Society) [2] ha sottolineato i seguenti punti:
  •  inizio della terapia con Dmab: attenta valutazione soprattutto nei pazienti più giovani che sicuramente dovranno sospendere la terapia e che potenzialmente sono a rischio maggiore di Fx alla sospensione
  • durata ottimale della terapia con Dmab: valutazione globale del rischio di frattura e non solo della BMD, prevedendo per i pazienti a più alto rischio una terapia a lungo termine fino a 10 anni [1]
  • strategia terapeutica alla sospensione di Dmab (Fig. 1)
  1. trattamento < 2.5 anni e basso rischio di frattura: alendronato da iniziare a 6 mesi dall’ultima somministrazione di Dmab, con monitoraggio del telopeptide C-terminale del collagene di tipo I (CTX) sierico a 3 mesi e poi ogni 6 mesi se CTX <0.280 ng/mL;
  2. trattamento > 2.5 anni e/o alto rischio di frattura e/o scarsa tolleranza/aderenza/efficacia di BP orali: zoledronato a 6 mesi dall’ultima somministrazione di Dmab, con monitoraggio del CTX sierico a 3 e 6 mesi; considerare seconda infusione se CTX > 0.280 ng/mL
  • durata della terapia antiriassorbitiva dopo Dmab: 12-24 mesi (durata stimata del “fenomeno rebound”), da individualizzare sulla base della risposta in termini di BTM e BMD

Conclusioni
Alla sospensione di Dmab è mandatoria una terapia antiriassorbitiva per contrastare il “fenomeno rebound” sul turnover osseo, il calo di BMD e l’aumentato rischio di Fx. Attualmente si raccomanda di utilizzare i BP alendronato o zoledronato (a seconda della durata del trattamento con Dmab e dell’entità del rischio di frattura) per 12-24 mesi, sebbene ulteriori studi siano necessari per chiarire il regime terapeutico ottimale.

Fig.1 Strategia terapeutica proposta in caso di sospensione di denosumab [2-3]

Figura 1
Abbreviazioni BTM: indici di turnover scheletrico. CTX: telopeptide C-terminale del collagene di tipo I. DXA: densitometria ossea. BMD: densità minerale ossea. LSC: least significant change.
 
Conflitti di interesse Le autrici dichiarano di non avere conflitti di interesse
Consenso informato Lo studio presentato in questo articolo non ha richiesto sperimentazione
umana
Studi sugli animali Le autrici non hanno eseguito studi sugli animali

Riferimenti bibliografici
  1. Goltzman D (2000) Approach to Hypercalcemia. In Feingold KR, Anawalt B, Boyce A, et al. (eds) Bone HG, Wagman RB, Brandi ML et al (2017) 10 years of Dmab treatment in postmenopausal women with osteoporosis: results from the phase 3 randomised FREEDOM trial and open-label extension. Lancet Diabetes Endocrinol 5(7):513-523. doi: 10.1016/S2213-8587(17)30138-9
  2. Tsourdi E, Zillikens MC, Meier C, et al (2020) Fracture risk and management of discontinuation of Dmab therapy: a systematic review and position statement by ECTS. J Clin Endocrinol Metab. doi: 10.1210/clinem/dgaa756.
  3. Anastasilakis AD, Makras P, Yavropoulou MP et al (2021) Dmab Discontinuation and the Rebound Phenomenon: A Narrative Review. J Clin Med 10(1):152. doi: 10.3390/jcm10010152.

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